Il ruolo del Pri L’evoluzione della crisi politica e il governo Monti di Saverio Collura L’avvitamento della crisi economica e finanziaria del nostro paese, come aveva ben compreso Ugo La Malfa, non ha mai un punto finale, perché può evolversi in crisi politica, poi ancora in crisi istituzionale. Oggi la crisi economica si intreccia violentemente con la crisi politica ed il governo Monti è solo il termometro che, inesorabilmente, rende conto della gravità della situazione. Non è Monti che produce il dissesto della politica, che invece è conseguenza della inadeguatezza dei soggetti politici che, al momento, esprimono la rappresentanza popolare. La crisi istituzionale è, per fortuna, ancora latente, grazie all’opera del presidente della Repubblica e al notevole riscontro di fiducia che egli riscuote presso gli italiani. Mentre esprimiamo profonda gratitudine a Napolitano ed in lui fortemente confidiamo, non possiamo non constatare che anche questa positiva e fortunata evenienza certifica ulteriormente la profonda anomalia del nostro sistema politico. Non credo, quindi, sia necessario soffermarci ulteriormente sul dato incontrovertibile del fallimento politico del bipolarismo anomalo che in questo ultimo quindicennio ha avuto la responsabilità del governo del paese. Il centro-destra ha dovuto abdicare al forte mandato di governo ricevuto nel 2008, mentre il centro-sinistra, pur ritenuto in vantaggio nei sondaggi d’opinione, ha dovuto rinunciare a chiedere all’elettorato il mandato a governare l’Italia. Non è questo il tempo per analizzare le cause che hanno determinato gli eventi prima illustrati, perché, per quanto ci riguarda, come Pri dobbiamo riflettere sui nostri limiti operativi e sui nostri ritardi politici rispetto all’incombenza degli eventi. Il congresso di Bari ha indicato per il partito un percorso senza significative prospettive; ha fortemente condizionato la definizione e l’elaborazione di un progetto politico autonomo ed originale, che nemmeno la presenza al governo dopo il 2001, in ruoli certamente non secondari, ha potuto ovviare. Il recente congresso di Roma, per le modalità di svolgimento, per i contenuti programmatici elaborati e, non ultimo, per la ritrovata e ricostituita unità delle componenti strutturali del repubblicanesimo nel Pri, ha fornito le coordinate del nuovo progetto politico: la costruzione in Italia del Polo repubblicano liberaldemocratico. La mozione congressuale di maggioranza ha tracciato in modo puntuale il ruolo e le prospettive di questo originale e peculiare soggetto politico. In quest’ottica l’indicazione degli amici della minoranza, ancora di recente riproposta, di adesione del Pri al terzo polo appare inadeguata, se non addirittura inefficace. E ciò nonostante che la nascita del terzo polo, pur nella sua indeterminatezza ideale e programmatica, ha per certi versi rappresentato un passo positivo, anche se non risolutivo, nel quadro politico nazionale. Certamente le forze politiche che oggi operano all’interno del terzo polo potranno essere interlocutori significativi, se non anche coprotagonisti del progetto repubblicano liberaldemocratico. Oggi il nostro impegno deve essere totalmente finalizzato alla creazione di una casa politica nella quale dovranno anche trovare accoglienza le esperienze umane del capitalismo borghese (che si stanno via via manifestando nella società italiana) che vogliono interpretare il loro ruolo nell’ottica dell’integrazione sociale, della promozione di nuove opportunità, di impegno per la realizzazione di attività e servizi non corporativi ma di portata generale. La nostra attenzione e sollecitazione deve anche essere rivolta alle realtà umane del mondo delle professioni per sollecitarne, attraverso il coinvolgimento nel progetto politico, il loro impegno attivo nella lotta alle evasioni ed agli abusi, quindi alla certificazione del rispetto della normativa vigente. Nella nostra tesi sulla competitività abbiamo indicato tale percorso sintetizzato con la proposta di sostituire, nel rapporto tra Stato e cittadini utenti, tariffe pubbliche con onorari professionali. Infine i giovani che oggi vivono la paura del domani, perché non riescono ad intravedere un percorso di prospettiva e sfuggono, quindi, al loro ruolo di attori principali, rifugiandosi nel contingente e nell’effimero. Dobbiamo coinvolgerli in un progetto politico che investa sul futuro, e che quindi stimoli la loro fiducia nelle possibilità di costruire una società più civile e più giusta, che nella costituzione degli Usa è indicata con la enunciazione: diritto alla felicità. La nostra storia politica ed il nostro patrimonio culturale ci danno la speranza di poter essere una forza del cambiamento ed il prossimo consiglio nazionale deve dimostrarlo. Abbiamo davanti a noi 500 giorni da impiegare proficuamente per dar vita a questo impegno progettuale. |